Ci fu lo zampino dei vulcani nella Piccola Era Glaciale

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Ci fu lo zampino dei vulcani nella Piccola Era Glaciale

Tra il 1400 e la prima metà del 1800 l’Europa e parte del Nord America attraversarono un periodo così freddo, da passare alla storia come la Piccola Glaciazione.
di blog.meteogiuliacci.it

Il grande freddo in Europa si annunciò con un inverno, quello del 1431, incredibilmente rigido: tutti i fiumi tedeschi gelarono, mentre una robusta area di alta pressione, bloccata sulla Scandinavia, favorì l’irruzione di gelidi venti da est su tutta l’Europa Meridionale.

Pochi anni dopo, durante l’inverno a cavallo tra il 1434 e il 1435, in Inghilterra nevicò per ben 40 giorni consecutivi, mentre più a sud, sulle Alpi, i ghiacci perenni cominciarono ad invadere le vallate sottostanti.

Eppure quelle annate, così inclementi dal punto di vista climatico, non erano altro che un primo timido assaggio in confronto a quello che poi si rivelò un vero e proprio viaggio a ritroso verso l’epoca delle grandi glaciazioni: durante l’inverno del 1608, noto anche come il Grande Fratello, l’intera superficie del Lago di Costanza gelò, mentre i ghiacciai alpini arrivarono a minacciare seriamente il centro abitato di Chamonix; nel 1788 gelarono tutti i fiumi europei, al punto che i londinesi si spostavano in città pattinando sulla superficie del Tamigi e, sempre il ghiaccio, impedì per quasi tutta la stagione invernale la navigazione del Canale della Manica; durante l’inverno 1829-30 un’ondata di freddo record, della durata di più di tre mesi, distrusse quasi tutti gli ulivi e le vigne del Vecchio Continente.

Questo è solo un piccolo campionario dei terribili effetti della morsa di gelo che attanagliò per circa quattro secoli buona parte dell’Emisfero Nord. Ebbene, è ormai accertato che il principale “colpevole” della Piccola Glaciazione fu il Sole: l’energia emessa dalla nostra stella difatti varia leggermente con cicli di qualche migliaia di anni e proprio verso la metà del millennio appena concluso l’attività solare raggiunse, appunto, il valore minimo (Minimo di Maunder).


Tuttavia non si spiega perché, a partire dalla seconda metà del 1700, nonostante che la radiazione solare fosse tornata su livelli quasi normali, il freddo seguitasse ad imperversare sull’Europa e sul Nord America. Il fatto è che nella vicenda della Piccola Glaciazione c’è anche lo zampino dei vulcani.

Durante la Piccola Glaciazione l’attività vulcanica fu molto intensa, raggiungendo massimi mai toccati almeno nel corso degli ultimi 10000 anni

In particolare, negli ultimi 300 anni, sono state 15 le eruzioni caratterizzate da un indice DVI > 1000, ma ben 10 di queste sono concentrate nel centennio 1750-1850, ovvero durante l’ultima fase della Piccola Glaciazione.

Ma l’influenza dei vulcani nella vicenda è ancora più evidente qualora si stimi, mediante l’indice DVI, la quantità complessiva di polveri vulcaniche immesse in atmosfera durante e dopo la Piccola Glaciazione: con un indice DVI complessivo di 23000, il centennio 1790-1890 è stato influenzato dai vulcani più del centennio 1690-1790 (DVI tot = 18000), e decisamente molto più del centennio 1890-1990 (DVItot = 7000).

E stata quindi la grande concentrazione di polveri e gas vulcanici nella stratosfera a rendere ancor più rigida e prolungata la morsa del freddo sul nostro emisfero.

L’eccezionale eruzione del vulcano Tambura ne è un’ulteriore riprova. Riguardo questa eruzione – che squassò nel 1815 le Indie Orientali Olandesi (l’odierna Indonesia) – ecco alcune pagine tratte dal diario di Sir Thomas Stamford Rafles, comandante di un distaccamento militare britannico di stanza nella zona: “A Giava, distante trecento miglia (dal vulcano), essa (l’eruzione) sembrava spaventosamente presente.

A mezzogiorno il cielo era coperto da nubi di polvere; il Sole era avvolto da un’atmosfera densa in cui era incapace di penetrare; una pioggia di cenere copriva le case, le strade e i campi con uno strato alto parecchi centimetri, e in tutta quella oscurità si sentivano a intervalli le esplosioni, simili al rombo dell’artiglieria o al rumore di tuoni lontani.

La somiglianza col rombo del cannone colpì a tal punto alcuni ufficiali che, temendo essi un attacco di pirati a qualche punto della costa, furono mandate delle navi a portare soccorso”.

L’eruzione, durata più giorni e con un valore DVI = 3000 (cioè tre volte più potente di quella del Krakatoa), ridusse l’altezza del Monte Tambora di circa 1400 metri e scaraventò nell’atmosfera più di 100 chilometri cubi di materiale vulcanico.

L’anno successivo eventi climatici eccezionali sconvolsero molte regioni del Pianeta, ma fu lungo le coste orientali del Nord America che le bizze del clima si divertirono a disegnare gli scenari più incredibili.

Durante un’estate come non se ne era mai viste prima, e come mai più se ne sarebbero viste, tra gli 8 e i 15 centimetri di neve ricoprirono tutto lo stato del New England verso la metà di giugno, evento seguito da intense e devastanti gelate ai primi di luglio e verso la fine di agosto.

Attoniti e increduli, i contadini si ritrovarono a lavorare i campi, nel pieno della stagione estiva, avvolti in pesanti cappotti di lana, tanto che il 1816 passò alla storia come l’anno senza estate!

Gli storici sono ormai quasi concordi nel ritenere che la perdita pressoché totale dei raccolti di quell’annata diede una fondamentale spinta all’emigrazione dei contadini della costa orientale verso nuove e più accoglienti terre, alla “conquista del west”.

Ma anche nel Vecchio Continente la nube di gas e polveri, ormai spalmata su gran parte del Globo, provocò un’estate insolitamente fredda. I gravi danni causati dal maltempo ai raccolti seguirono di appena un anno le devastazioni portate dall’ultima campagna napoleonica, conclusasi con la disfatta di Waterloo, portando in tal modo gran parte dell’Europa sul baratro di una tremenda carestia.

(tratto dal libro I Protagonisti del Clima – Andrea Giuliacci, Alpha Test editore)

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