L’acidità delle acque del Mar Glaciale Artico è in rapido aumento a causa dei cambiamenti climatici

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L’acidità delle acque del Mar Glaciale Artico è in rapido aumento a causa dei cambiamenti climatici

Redazione Blue Planet Heart
Tratto da www.washingtonpost.com

L’Artico sta subendo così tante conseguenze legate ai cambiamenti climatici che ormai è difficile capire da dove cominciare. Si riscalda più rapidamente di qualsiasi altra parte del pianeta, i suoi ghiacciai si stanno sciogliendo e il suo mare di ghiaccio si sta ritirando, e purtroppo, la sua fauna più iconica, tra cui orsi polari e trichechi, è in serio pericolo.

Ma non è tutto, un nuovo studio, appena pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, indica che l’Oceano Artico sta diventando più acido, un’altra conseguenza provocato dai gas serra nell’atmosfera. È un processo che si verifica quando l’anidride carbonica si dissolve in aria e in mare, abbassando il pH dell’acqua durante questo processo.

Gli scienziati ritengono che l’acidificazione si stia verificando in diverse percentuali anche in tutto il mondo, ma questo studio offre ai ricercatori rinnovati motivi di preoccupazione per l’Artico, suggerendo che una grande, e crescente parte dell’oceano potrebbe aver raggiunto un livello che è pericoloso per alcuni organismi marini.

La nuova ricerca si focalizza sulle concentrazioni nell’acqua di un minerale chiamato aragonite, che è una forma di carbonato di calcio, un composto chimico che plancton, crostacei e anche di coralli di alto mare, usano per costruire il loro guscio duro esterno. Quando l’acqua dell’oceano diventa più acida, si verificano reazioni chimiche che impediscono la formazione di carbonato di calcio e abbassano la sua concentrazione in acqua, fatto che può essere una seria minaccia per questi animali marini.

Questi livelli di aragonite sono un “parametro molto importante”, che può essere un indicatore di quanta anidride carbonica si dissolve in mare, secondo Liqi Chen, uno scienziato del China’s State Oceanic Administration e co-autore del nuovo studio.

Analizzando i dati raccolti in mare durante le spedizioni tra il 1994 e il 2010, gli scienziati hanno scoperto che alcune parti dell’Oceano Artico Occidentale sono carenti di aragonite, infatti le sue concentrazioni sono inferiori a quelle che dovrebbero essere. E queste aree si sono ampliate di più di sei volte dal 1990 ad oggi.

Nel 1994, i dati mostravano che circa il 5 per cento dell’acqua tra 70 e 90 gradi di latitudine nord era  “sottosatura” di aragonite. La maggior parte di questa zona presentava una profondità di 125 metri e si fermava sotto 80 gradi di latitudine nord. Ma ulteriori indagini, condotte nel 1998, 2005, 2008 e il 2010, mostrano che queste aree iposature si sono insinuate più a nord ed estese più in profondità nell’oceano negli anni successivi.

Entro il 2010, l’area iposatura si era estesa dal 5% a circa il 31 per cento della colonna d’acqua, secondo lo studio. E gli scienziati hanno trovato iposaturazione fino a 250 metri di profondità e in luoghi sopra 85 gradi di latitudine Nord. In altre parole, la zona acidificante si era espansa sia verso nord nel circolo polare artico che più in profondità nell’oceano. I ricercatori sottolineano che i livelli di aragonite in queste zone sono al di sotto del punto che gli scienziati ritengono sia una minaccia per gli organismi marini.

La continua emissione di gas a effetto serra nell’atmosfera è una causa evidente di questa espansione, ma ci sono una serie di altri fattori che possono anche avere aiutato il processo, sottolineano i ricercatori.

Per prima cosa, l’anidride carbonica tende a dissolversi facilmente in acqua fredda e, mentre l’Artico continua a riscaldarsi, la fusione sia del ghiaccio galleggiante del mare che dei ghiacciai sulla calotta glaciale della Groenlandia, fornisce un afflusso di acqua fresca e fredda verso l’oceano, che può rendere più facile l’acidificazione. Inoltre, meno ghiaccio marino c’è sulla superficie del mare, più la superficie di acqua liquida è esposta al biossido di carbonio presente nell’atmosfera.

Recenti ricerche hanno anche dimostrato che l’acqua dell’Oceano Pacifico è sempre più soggetta a intrusione nella regione artica. I ricercatori fanno notare che quest’acqua del Pacifico ha certe proprietà chimiche – per esempio, basso contenuto di sale e un più alto livello disciolto di materiale organico ricco di carbonio, che possono contribuire all’aumento di acidificazione. Le ragioni di questo fenomeno sono complesse, ha detto Chen al Washington Post, e hanno a che fare con i recenti cambiamenti nelle correnti oceaniche del nord.

Le acque del Pacifico fluiscono naturalmente nella regione artica per via dello stretto di Bering e poi scorrono verso est attraverso il Mare di Beaufort, intorno alla Groenlandia per poi uscire di nuovo. Ma negli ultimi anni, osservano i ricercatori, c’è stato un aumento del flusso provenientedallo stretto di Bering e una diminuzione della corrente che, da est, scorre attraverso il Mare di Beaufort, causando un accumulo di acqua del Pacifico in alcune parti dell’Artico, in particolare il mare di Chukchi. Le ragioni di questo fenomeno non sono chiare, ma i ricercatori suggeriscono che essa può avere qualcosa a che fare con i recenti cambiamenti nei modelli del vento atmosferico che impediscono che l’acqua del Pacifico scorra allo stesso modo rispetto al passato.

I ricercatori sottolineano anche i recenti cambiamenti del vortice oceanico a nord della Groenlandia noto come il Beaufort Gyre. Questa corrente è in grado di girare vorticosamente in senso orario o antiorario, e storicamente tendeva a passare avanti e indietro tra i due regimi in un lasso di tempo tra i cinque e i sette anni. Nel corso degli ultimi due decenni, però, i ricercatori hanno notato che il vortice si è stabilizzato per lo più in senso orario, fatto che ha causato il rinforzo della corrente, ampliando la portata d’acqua del Pacifico facendola andare più profondamente nel mare.

Con tutte queste condizioni in mente, i ricercatori hanno deciso di effettuare una simulazione del modello per vedere come l’acidificazione dell’Artico potrebbe progredire in futuro.

“I modelli indicano che il ghiaccio del mare continuerà a diminuire e la previsione è che l’Oceano Artico potrebbe essere privo di ghiaccio in estate entro il 2030”, secondo gli scienzieti. In questo caso, le loro proiezioni indicano che l’intera superficie del Mar Glaciale Artico, fino a circa 30 metri di profondità, potrebbe raggiungere una iposaturazione di aragonite nel giro di due decenni. E dato il tasso di espansione che hanno osservato a partire dal 1994, suggeriscono che l’intero Oceano Artico Occidentale, fino a 250 metri di profondità, potrebbe diventare anch’essa iposatura nel giro di pochi decenni.

Alcune di queste tendenze possono dipendere da futuri cambiamenti nelle correnti artiche, come il Beaufort Gyre. Ma queste incertezze a parte, lo studio mette in evidenza la natura interconnessa di conseguenze climatice nell’Artico, dovute alle emissioni di gas a effetto serra, l’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacci e l’acidificazione degli oceani, fattori che sono tutti collegati e contribuiscono a rafforzarsi l’un l’altro.

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