Il forte terremoto del 30 settembre 1789 che scosse Città di Castello e l’alta Valtiberina
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Nella tarda mattinata del 30 settembre 1789 un forte terremoto colpì la Valtiberina, come viene comunemente chiamata l’Alta Valle del Tevere, oggi incuneata tra la Toscana e l’Umbria. Questa ampia vallata è tra le zone sismicamente più attive dell’Appennino settentrionale: la sua storia sismica, infatti, negli ultimi 1000 anni registra almeno nove terremoti con intensità epicentrale Io uguale o superiore al grado 7 della scala macrosismica Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS) (CPTI11). Di questi, ben cinque si possono considerare terremoti distruttivi, con effetti epicentrali pari o superiori al grado 8 MCS. Si tratta di forti eventi avvenuti negli anni 1352, 1389, 1458, 1789 e 1917.
Data | Area epicentro | Imax | Mw |
1352 12 25 | Monterchi (AR) | 9 | 6.4 |
1389 10 18 | Bocca Serriola | 9 | 6.0 |
1458 04 26 | Valtiberina | 8-9 | 5.8 |
1789 09 30 | Valtiberina | 9 | 5.8 |
1917 04 26 | Valtiberina | 9-10 | 5.9 |
Se i tre più antichi sono tuttora terremoti relativamente poco definiti (con un numero limitato di osservazioni macrosismiche), quelli del 1789 e del 1917 sono eventi invece meglio documentati (DBMI11).
La Valtiberina oggi è situata proprio nel cuore dell’Italia centrale, ma all’epoca del terremoto era attraversata dal confine tra due importanti stati politicamente e amministrativamente indipendenti: il Granducato di Toscana e lo Stato della Chiesa. L’amministrazione periferica dello stato papale si basava sulla suddivisione del territorio in governi. In particolare quello di Città di Castello comprendeva il settore dell’attuale Umbria a nord della linea Umbertide-Gubbio, con diverse enclaves giurisdizionali (i marchesati di Monte Santa Maria e di Sorbello; il feudo di Montone, amministrato dalla Camera Apostolica; la terra di Citerna, amministrata dalla Sacra Consulta). Il territorio granducale era invece diviso in cancellerie comunitative; quella di Sansepolcro (la più colpita dal terremoto), in particolare, faceva capo alla Camera della Comunità di Firenze. Gli amministratori periferici dell’epoca assicuravano i collegamenti tra realtà locali e uffici centrali, esercitando il governo in materia civile ed economica. La documentazione che ne riflette i rapporti con le comunità e le magistrature centrali è costituita prevalentemente da carteggi.
Questa complessa situazione politica e amministrativa fa di quello del settembre 1789 un vero e proprio “terremoto di confine” e influenza fortemente l’organizzazione di una ricerca delle tracce da esso lasciate nelle fonti storiche, cioè una ricerca delle carte che ne documentano gli effetti sul territorio. La richiesta di soccorsi e la risposta ufficiale all’emergenza coinvolsero, infatti, due distinti governi – quello di Papa Pio VI, da una parte, e quello del Granduca Pietro Leopoldo I d’Asburgo-Lorena, dall’altra – e due diverse capitali: Firenze e Roma.
Oltre a questa complessità geopolitica, anche il particolare periodo storico in cui l’evento si colloca influenzò notevolmente la percezione che ne ebbero gli osservatori contemporanei, e di conseguenza la produzione di relazioni e resoconti che vennero scritti sul terremoto stesso.
Nell’estate del 1789, infatti, la situazione internazionale era dominata dalle turbolenti vicende francesi: a metà luglio (appena due mesi e mezzo prima del terremoto) a Parigi c’era stata la storica “presa della Bastiglia”. Le vicende della Rivoluzione Francese e le loro ripercussioni politiche sul resto di Europa già a fine settembre monopolizzavano l’attenzione dei principali osservatori europei. Sicuramente questa situazione contribuì non poco a limitare l’interesse degli eruditi italiani dell’epoca verso il disastroso terremoto del 30 settembre 1789; su di esso, infatti, non risulta che siano stati scritti trattati o relazioni speciali, a differenza di quanto fu fatto invece per altri terremoti, anche meno gravi, avvenuti negli anni 80 del XVIII secolo in Toscana e nello Stato Pontificio. Le uniche relazioni coeve conosciute sono di stampo prettamente giornalistico, più che scientifico.
L’interesse per il terremoto, infatti, fu abbastanza elevato fra i “giornalisti” dell’epoca, cioè coloro che compilavano le notizie che circolavano in una fitta rete di corrispondenze attraverso l’Europa di fine Settecento, Italia compresa, e che venivano pubblicate nelle gazzette a stampa tipiche di quel periodo.
L’analisi approfondita e critica delle fonti storiche di archivio recuperate con apposite ricerche ha permesso ai sismologi storici di ricostruire lo scenario degli effetti che il terremoto ebbe sul territorio interessato (si vedano Castelli 2002 e 2008, e la bibliografia ivi citata).
Il 30 settembre 1789, tra le 7.00 e le 7.30 ora locale, fu avvertita una scossa “gagliarda” a Città di Castello e “leggiera” a Sansepolcro. Questa scossa non è invece ricordata dai testimoni di Anghiari, a soli 8 km a est di Sansepolcro, né da quelli di Castiglion Fiorentino e di Cortona, una trentina di km a est di Città di Castello.
Tra le 11.15 e le 11.30, ora locale, si verificò la scossa più forte. Gli insediamenti rurali (“ville”) situati nella pianura tra Città di Castello e Sansepolcro, specie sulla riva sinistra del Tevere, subirono danni gravissimi. Centri come Selci, Lama, San Giustino e Cerbara furono semidistrutti, con effetti pari al grado 9 MCS.
Monsignor Fabrizio Ruffo, Tesoriere Generale della Camera Apostolica inviato dal Papa nell’area colpita dal terremoto, così descriveva la gravità della situazione ai primi di ottobre 1789:
“Sono stato questa mattina a Selci, ed a S. Giustino; per la strada abbiamo visti molti Casali quasi diruti, molti danneggiati, altri spianati affatto. Selci luogo di 600 Anime è spianato affatto; morirono nel momento del disgrazia 62 Persone, ed altrettanti in circa feriti, de quali 40 allo Spedale; 200 in circa ne son fuggiti. Quantità di Animali sono periti ancora. Il rimanente degli Uomini sono così spaventati, che non hanno sinora fatto neppure una Capanna, che meriti questo nome. […].Le providenze da prendersi sono ben difficili; gli Uomini rimasti non bastano per le faccende della Campagna, nè possono ricevere soccorso da loro Vicini, che sono occupati nelle stesse faccende, ed hanno sofferto moltissimi danni. Mancano le Tegole, nè è possibile averne molte in un punto, e se ne duole, perchè sono distrutti moltissimi Tetti in tutti i Luoghi danneggiati; mancano i ferramenti, e stando lontano dalla Marina per le strade che marciano verso l’Adriatico è ben difficile esserne presto provisti; i Legnami staggionati mancano ancora per ogni dove, quantunque con gli Albucci verdi si puntelli a più potere, ma pessimamente, e senza veruna intelligenza. […].
Sono passato poi in mezzo ad un diluvio di acqua (che non mi ha mai abbandonato da Fuligno sino al presente, e che rende infinitamente più incomoda la situazione de danneggiati) a S. Giustino. Le case sono ivi tutte danneggiate; la Chiesa si è conservata con poco danno nella Sagrestia. Il bellissimo Palazzo Bufalini è rovinato ne Piani superiori, e crollato il rimanente. Nisuno la Dio grazia vi è morto. Una sola donna fu cavata dalle Ruine dopo alcune ore, ma senza sensibile lesione. La disgrazia di questi Signori merita riflessione, perchè sette Colonie loro sono quasi tutte appianate ne contorni di S. Giustino con morte di molti Animali, e sono rimasti senza ricovero i Contadini. […]. Il Gran Duca ha mandati diversi soccorsi a S. Sepolcro danneggiato come S. Giustino secondo le Relazioni, con pochi luoghi a quello vicini, e si dice che arrivarà in breve personalmente sul luogo. […].
Il danno è considerabile, ed è tutta una striscia, che non trapassa il corso del Fiume, e sono principalmente Selci, Grumale, Corbara, dopo Giove, Pitigliano, San Giustino, Belvedere. Oltre la Città principale, come abbiamo detto, ed altri Luoghi più o meno patiti. In somma è una striscia di dieci miglia, larga due o tre miglia. Tutto il resto non ha avuto che la paura; ma questa striscia và per tutto, è assai danneggiata, ed in molti luoghi distrutta“. [ASRM, 1789-1795]
E’ interessante notare che, secondo questo resoconto, gli effetti di danno più gravi e distruttivi interessavano una striscia di territorio lunga una quindicina di km (“dieci miglia”) e larga 3-5 km (“due o tre miglia”) prevalentemente sul lato sinistro della valle del Tevere. Questa forma allungata dell’area dei massimi effetti è stata confermata dallo scenario macrosismico dell’evento ricostruito con le ultime ricerche eseguite, su questo terremoto, dai sismologi storici (si veda la mappa della distribuzione degli effetti macrosismici di seguito).
Il limite settentrionale dell’area di danneggiamento del terremoto del 1789 è rappresentato da Sansepolcro (AR) e dai villaggi vicini, che subirono danni gravi e diffusi. Nelle colline a ovest della Valtiberina ci furono danni estesi, ma più leggeri, ad Anghiari (AR) e a Citerna (PG): quest’ultima località sarà poi distrutta dall’ultimo forte terremoto della Valtiberina, quello dell’aprile 1917. A sud l’area di danneggiamento è delimitata da Montone (PG), una dozzina di km da Città di Castello.
La scossa principale fu avvertita sensibilmente a Cortona e a Castiglion Fiorentino (AR), a Siena e a Firenze. Repliche sono attestate, solo per Città di Castello, l’11 ottobre e nei giorni immediatamente precedenti il 31 ottobre 1789.
A Città di Castello e a Sansepolcro ci furono danni gravi ed estesi, con diversi crolli (effetti pari al grado 8 MCS). Le fonti riportano descrizioni molto precise e dettagliate sui danni a Città di Castello, soprattutto per quanto riguarda il patrimonio edilizio pubblico e religioso. Dopo averla visitata il 9 ottobre, ancora il Tesoriere Generale della Camera Apostolica, Fabrizio Ruffo, descrive così il suo sopralluogo:
“Il maggior danno della Città consisteva nella rovina interna dei Tetti caduti poi con rovina de Pianciti, e delle Volte, rimanevano perciò le Case, alte specialmente, senza la necessaria coesione, ed unità, e perciò minacciavano ulteriore ruina. Non poche di esse Case minacciavano ancora per la viziosa originaria costruzione, e per la loro vetustà. Il bellissimo Duomo […] si rinvenne aperto lateralmente in quasi tutte le Arcate delle Cappelle, la Cupola caduta, sprofondate le Volte della Chiesa inferiore, ma fortunatamente le Mura laterali, ed il rimanente non davano segno di ulteriore ruina. Il Palazzo Vitelli […] ha sofferto anch’egli di molto, non ostante la solidità, con cui era stato costruito. Il Palazzo Bufalini […] ha sofferto, ma non moltissimo. Le altre Fabbriche tutte non sono esenti da qualche ruina” [ASRM, 1789-1795]
Sulla Gazzetta di Bologna del 17 ottobre 1789 compare la seguente notizia (riportata nelle lettere arrivate da Roma), dove vengono descritti – oltre agli effetti subiti da Sansepolcro – anche i gravissimi danni riportati dalla cattedrale (o Duomo) di Città di Castello, intitolata ai Santi Florido e Amanzio:
Roma, 10.10.1789.
“Sempre più sono lagrimevoli le Relazioni dei danni, recati a Città di Castello, e suoi contorni dalle orribili scosse di Terremoto, che vi hanno cagionata, oltre l’ennunciata rovina di molti edifizj, e Case, quella ancora del Campanile della Cattedrale, che caduto sopra la Chiesa medesima, sfondò la volta, ed uccise un giovane pittore, che stava a dipingere la volta istessa. Sono state finora estratte dalle rovine delle Case, circa 109 persone, e 300 sono ferite. Monsignor Tesoriero è partito di quà, per ordine del beneficentissimo Pontefice, con denari, per sollevare questi afflitti Popoli; siccome pure per ristaurare i minaccianti Edifizj.
A Borgo S. Sepolcro in Toscana è rovinata la metà della Cattedrale, molte Case, il Palazzo Pretorio, ed il Castello di Cospaja è rovinato tutto, unitamente alla nuova Dogana” [Gazzetta di Bologna, 17.10.1789, n. 83, pag. 658]